mercoledì 14 gennaio 2009

Cina: vi racconto la mia esperienza

La questione Cina e i rapporti con il Tibet e i diritti umani hanno raggiunto livelli estremi in concomitanza di Beijing 2008, quindi ho deciso di descrivere la mia esperienza personale.

Ho vissuto quasi due anni a Beijing (Pechino) durante i quali ho studiato alla Tsinghua University che e’ la migliore in Asia continentale e ho lavorato per una società americana di R.E. Asset Management. Fondamentale e partire dal presupposto che, come da Statuto del gruppo a cui appartengo, noi Democratici ci rifacciamo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ci riconosciamo nella Convenzione di Ginevra. A oggi e’ assolutamente innegabile il fatto che in Cina siano presenti violazioni dei diritti fondamentali dell’ uomo da parte del CCP (Chinese Communist Party). Ed e’ anche innegabile che questi episodi siano sempre e comunque condannabili.

Durante la mia esperienza cinese, ho girato per lavoro e per svago tutto il paese e ho incontrato sia cinesi han che tibetani, sia hyuguri della regione autonoma musulmana dello Xingjian che abitanti di Macau e Hong Kong; ho visto dal vivo le reali condizioni di vita della popolazione, sia nelle campagne che nelle città cosi come nelle riserve delle minoranze.

La prima cosa che voglio sottolineare e’ la totale assenza di persone che soffrono la fame, risultato non da poco per un Paese che viaggia verso gli 1,5 miliardi di abitanti; persino nelle campagne piu profonde le condizioni di vita sono sicuramente dure e difficili, ma la tazza di riso con verdura e carne non manca mai, ne in carestia ne in abbondanza. Cosa che purtroppo non accade nella “democraticissima” India dove e’ sufficiente mettere piede fuori dal Ghandi International Airport per rendersi conto che la situazione e’ ben diversa. Inoltre leggendo gli articoli dei corrispondenti stranieri in Cina sembra emergere la descrizione di un paese in cui vige un clima di terrore, in cui la gente non parla per paura della repressione, in cui non e’ possibile esprimere la propria opinione e in cui si sparisce senza una ragione valida. Ebbene queste sono esagerazioni ridicole!

Vi sono indubbiamente limitazioni alla liberta’ di opinione e di parola, che sono assolutamente deprecabili, ma e’ sufficiente leggere il China Daily o farsi tradurre pagine dei giornali cinesi per capire che spesso e volentieri i giornali criticano il CCP, soprattutto in materia di diritti dei contadini e riforme economiche. Alcuni giornalisti cinesi hanno accusato apertamente il Governo di avere aumentato il gap tra ricchi e poveri e il Governo e’ stato costretto ad ammettere l’errore e quindi ad attuare politiche in favore degli 800 milioni di contadini.

In aula, durante le lezioni, i miei docenti cinesi condannavano duramente il Massacro di Piazza Tian An Men e la carneficina di studenti cinesi messa in atto dall’Esercito di Liberazione Popolare.

Quando simili critiche venivano esternate nella Cina Maoista, a sparire non era solo chi le aveva dette, ma anche tutti quelli che le avevano ascoltate!

Al ristorante il mio mandarino stentato mi permetteva di capire quando i miei amici cinesi affrontavano temi “difficili” in cui le critiche (insieme anche naturalmente alle lodi, a volte meritate, al Partito) venivano esternate senza timore dei vicini di tavolo, senza timore della polizia, senza timore di sparire. Il punto fondamentale che viene omesso in Occidente quando si parla della Cina e il confronto tra la Cina di Hu Jintao (attuale Primo Ministro) e la Cina di Mao Tse Dong; si omette di parlare dei progressi incredibili che la Cina e’ stata in grado di compiere, non soltanto in campo economico dove cresce al 12% annuo (in Italia se si crescesse all’1% Tremonti stapperebbe una bottiglia di spumante), ma anche nei campi fondamentali dei diritti umani e delle liberta.

In questi ambiti, la Cina ha ancora molta strada da fare, pero se si paragona la situazione a 20 anni fa, e impossibile non notare i progressi compiuti. Questi progressi vanno riconosciuti come meriti del popolo cinese e del nuovo corso attuato da Deng Xiaoping. Si pensi inoltre al fatto che 20 anni fa’ Hong Kong era considerato “il porto della speranza” da cui milioni di cinesi, in fuga dalla Cina, dalla fame e dai massacri Maoisti, speravano di poter salpare per l’Occidente. Oggi basta chiedere a un qualunque cinese in Italia, figlio delle stesse famiglie che sono riuscite per miracolo a scappare da Mao, che cosa vuole fare e lui ti risponderà che vuole tornare a vivere in Cina.

Ho citato di proposito il tema delle minoranze per collegarmi all’attualissima questione tibetana. D’ora in poi esprimo esclusivamente il parere mio personale basato sull’esperienza che ho vissuto e sulle persone che ho incontrato. Quello che dirò potrebbe dare fastidio: vi voglio spiegare perche sono fermamente contrario all’indipendenza del Tibet. Partiamo dal presupposto che originariamente i tibetani e gli han cinesi sono due ceppi diversi ma sono stati sempre dominati dalle stesse autorità e di conseguenza e semplicistico e sbagliato dire che e come se i Francesi dovessero convivere con i Kenioti. Prima di tutto e sempre bene ricordare che H.H. il Dalai Lama, persona dalla saggezza infinita e estremamente pragmatica, ingiustamente accusata di terrorismo dal CCP, ha sempre sostenuto che il Tibet non chiede l’indipendenza ma una maggiore autonomia all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Perche mai il leader del popolo tibetano non chiede l’indipendenza quando tutto l’Occidente lo grida? Vive in India, e’ al sicuro, tutto il mondo e’ con lui e allora perche non chiede l’ indipendenza? Perche e ben consapevole che ciò significherebbe che da un giorno all’altro si interromperebbe il flusso di miliardi di RMB provenienti da Beijing che hanno permesso di costruire dighe, ponti, autostrade, ferrovie, ospedali, università, scuole, di avere luce, gas e acqua corrente.

Il Tibet e’ un altopiano senza risorse naturali a più di 4000 metri di altezza dove, chi ci e stato lo sa, se si pianta un seme, al massimo spunta un sasso. Qui nasce l’indignazione del pensatore medio Occidentale che sostiene che il progresso e un beneficio marginale e talvolta anche dannoso rispetto alla Liberta con la L maiuscola; che grida “Free Tibet” più per un romanticismo di fondo insito nella causa tibetana, che per una reale conoscenza dei fatti e delle opinioni dei tibetani residenti in Cina (che ovviamente non ha mai visto ne incontrato).

Non gli interessa se, prima dell’ invasione cinese, i tibetani erano costretti a diventare monaci se volevano garantirsi un pasto al giorno perche almeno erano “liberi”, se questa si può chiamare liberta. Prima di andare a Lhasa pensavo esattamente la stessa cosa, ma ho avuto la forza di ricredermi quando, parlando con dei tibetani, alla domanda che cosa ne pensassero dell’occupazione cinese, la risposta e’ stata sempre uguale: si vorremmo maggiore autonomia, si vorremmo il Dalai Lama nel Pothala, si vorremmo maggior rispetto della nostra cultura ma no! Non vogliamo l’indipendenza!

La mia opinione e che e facile giudicare il valore del progresso e della liberta quando si assume come garantito il livello di benessere occidentale. Meno facile e’ distinguere quali sono i bisogni primari degli individui.

Davide Cirelli

1 commento:

  1. molto illuminante l'opinione di una persona che ha vissuto a diretto contatto con il complesso mondo cinese. troppo spesso si sperperano opinioni arbitrarie riguardo a questioni di cui si possiede una stentata conoscenza di facciata. troppo spesso ci si accontenta di un'informazione incapace di andare al cuore dei problemi (e anzi deliberatamente interessata a non farlo).

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