
La crisi economica avanza. Uno dopo l'altro i capi di stato delle nazioni occidentali setacciano i bilanci alla ricerca dei più piccoli sprechi, per re-indirizzare ogni euro possibile alla battaglia ormai disperata contro il calo dei consumi, della fiducia e degli investimenti. Tutto questo mentre nella vecchia Europa si perdono ogni mese centinaia di migliaia di posti di lavoro, mentre il debito pubblico raggiunge i più alti livelli di sempre e i 27 non son mai stati così litigiosi.
In questo scenario da favola, le azioni si susseguono. Il presidente degli Stati Uniti d'America, che annunciò in campagna elettorale che avrebbe controllato e vagliato l'indirizzo di ogni centesimo di spesa presente nel bilancio federale sembra stia mantenendo la sua parola; i suoi migliori consiglieri hanno formato una equipe proprio per verificare il grandioso piano di rilancio dell'economia reale americana, che sfiora gli 800 miliardi di dollari. Per restare più vicino a noi, i cugini d'oltralpe stanno riversando sulle regioni e i dipartimenti una montagna di euro con lo scopo di rilanciare opere pubbliche e consumi, con la costruzione di linee ferroviarie, edilizia pubblica e assegni per i redditi bassi; l'Unione studia misure per sostenere il crollo dell'occupazione in Est Europa e sta preparando, per la prima volta nella sua storia, un piano di investimento centralizzato d'emergenza che ricorda quasi una legge finanziaria.
Vien spontaneo allora chiedersi: e in Italia? Stiamo investendo? Stiamo rinnovando? Stiamo costruendo, creando, consumando, ricercando? Stiamo purificando i bilanci dello stato da ogni centesimo di spesa inutile? Insomma, stiamo mettendo in atto quella serie (o anche soltanto una!) di azioni virtuose che potrebbero (e dico potrebbero) se non salvarci la pelle attutirci la caduta? Perchè in questo scenario da favola, nel nostro bel paese le azioni non si contano (letteralmente) mentre le dichiarazioni si. Da settembre ad oggi, più o meno al ritmo di una volta al mese, il duetto Tremonti-Berlusconi ha dato fiato alle trombe. Venne annunciato a ottobre un fantomatico piano da 200 miliardi di euro; esso dimagrì verso novembre a 120 miliardi, e poi 80. divennero 65, poi 9. L'impressione che si ha avuto è stata quasi che queste cifre andassero sommate, al posto che sostituite l'una all'altra nella loro rapida caduta. E in ogni caso, fino ad ora sono stati versati nelle tasche degli italiani (che hanno già visto svanire quasi un milione di posti di lavoro da settembre ad oggi) solo le poche centinaia di euro della social card. Davanti alle facce stordite dell'opposizione, dei sindacati e degli imprenditori.
Vabbè, viene da dirsi che vivevamo in Italia e già lo sapevamo. Sapevamo anche che sarebbe stato saggio aspettare un pochino prima di abolire l'ICI; che sarebbe stato saggio vendere subito Alitalia ad Airfrance risparmiandoci il prestito ponte e la patata bollente di dover gestire la “bad company”: avremmo risparmiato quasi un miliardo di euro. Ma pazienza, quel che è fatto è fatto. Ma almeno, vien da domandarsi, spenderanno meglio la valanga di soldi di cui già dispongono? Ci eviteranno spese folli destinate alla sola propaganda politica? Fossimo in qualsiasi altro paese del mondo, non dovremmo nemmeno chiedercelo. Qui a Bananas facciamo invece bene a rizzare le orecchie, perchè una recente proposta della Lega Nord fa rabbrividire perfino i più convinti sostenitori dell'esecutivo.
Come saprete, si dovrà tenere tra maggio e giugno il referendum sulla celeberrima legge elettorale “porcata”, cavallo di battaglia del successo della Lega. Che i lumbard siano spaventati dall'idea che un tale supporto venga a mancare non è certo un mistero, e non si vergognano a dirlo. Né ad avanzare proposte aberranti, di cui questa è il migliore esempio.
Si terranno infatti a maggio pure le elezioni europee. Saggezza vorrebbe che si andasse a votare tutto lo stesso giorno, europee e referendum, per realizzare un risparmio notevole: tanti soldi risparmiati, cosa bella in tempo di crisi. Solo che tutto ciò al carroccio non piace. Perchè vorrebbe dire neutralizzare lo strumento da sempre il migliore per far fallire i refendum, ovvero la mancanza del quorum. E la lega non è disposta a rinunciare alla legge porcata; al punto da portare al governo la proposta (direi piuttosto la richiesta, o il ricatto) di posticipare di una settimana rispetto alle europee il suddetto referendum. Corretto, dal punto di vista dell'imbroglio politico: la gente non tornerà a votare due volte di fila in una settimana e non si raggiungerà il quorum, non abrogando dunque la legge in questione. Ma quanto costerebbe una tale difesa degli interessi della Lega? Il costo medio di una consultazione elettorale, affermano gli esperti, è di almeno 400 milioni di euro. 400 milioni di euro, in tempo di crisi, sono una valanga di soldi; raddoppierebbero, tanto per fare un esempio, i potenziali utenti della social card.
Per questo l'esecutivo tentenna, e valuta. Non tutti vorrebbero seguire la lega in questa avventura assai azzardata. Non tutti sono disposti a sostenere per l'ennesima volta i capricci dei leghisti sulla pelle di milioni di italiani, perchè dopotutto ci sono pure persone, là in mezzo, con qualche scrupolo. Dalla parte opposta della barricata rispetto a noi e magari con l'idea che talvolta il fine giustifichi i mezzi, ma oneste. E che sentono aumentare di giorno in giorno il loro mal di stomaco. A loro siamo costretti ad affidarci, sperando che abbiano il coraggio di non far pagare a migliaia di lavoratori che hanno appena perso o perderanno il posto di lavoro il costo (elevatissimo) dei famelici appetiti della Lega.
Francesco Nicoli
D'accordo su tutto, soprattutto se consideriamo il ponte di Messina, macchima mangia-soldi. Però 400 milioni per un stato solo spiccioli...
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